martedì 17 giugno 2008

La raccolta differenziata fuori dal mito

Credo che il migliore servizio che si possa fare nei confronti della raccolta differenziata e del riciclo dei rifiuti consista nel dire la verità su come stanno effettivamente le cose. Cominciamo dagli aspetti negativi. La questione più preoccupante è che su questo aspetto importante dello smaltimento, relativo a percentuali vicine al 50% od oltre del totale dei rifiuti prodotti nei paesi più industrializzati e sensibili, non si hanno praticamente notizie. Per gli scettici rimando al documento dell’ European Topic Centre (working paper 2008/1), centro con il quale coopera anche la nostra APAT (Agenzia nazionale per la protezione dell’ambiente) che dice testualmente: “Gli indicatori strutturali pubblicati da Eurostat non includono il riciclo dei rifiuti. Per questo abbiamo fatto una stima della quota di rifiuti riciclati sottraendo dal totale la quota destinata alla discarica e quella per l’incenerimento.” E’ sorprendente che, mentre per le prime due filiere si sa tutto, sul riciclo e riutilizzo non si abbiano neppure dati diretti sui quantitativi, figuriamoci sul resto. Eppure stiamo parlando della quota più rilevante dei rifiuti e che gode dei maggiori sponsor politici. Dal momento che lo slogan “ricicliamo tutto” è facile da gestire e, politicamente, ha reso e rende tutt’ora molto (anche economicamente per alcuni), è inutile perdere tempo per verificare se risponde alle promesse che fa; anzi, nel dubbio che la situazione possa essere differente da quella descritta, meglio non controllare per niente. Cosa succede invece negli USA dove, in questo campo, le cose vengono fatte un po’ meglio che in Europa? Può essere indicativo per capire qualcosa uno studio di Chester et al. pubblicato su Environmental Science & Technology (Vol. 42, No. 6: March 15, 2008) in cui, oltre ad una dettagliata analisi sulle tecnologie di raccolta per ottimizzare i flussi di materiale da riciclare ed i vantaggi rispetto all’effetto serra e ad altri indicatori ambientali, si danno alcune notizie sulla destinazione del materiale raccolto e sugli scenari possibili. Il distretto studiato si trova in California. Negli USA, metalli e vetro vengono recuperati, ma per quanto riguarda la plastica, il 71% è avviato nei mercati orientali (5.000 Km via mare). Non si conosce l’esatta quantità di fibra (carta, cartone) che viene spedita oltremare ma si suppone sia il 75%, di cui due terzi vengono recuperati nella filiera (vi è minore attenzione al grado di contaminazione del prodotto) ed un terzo viene bruciato per ottenere energia. Credo sia necessario riflettere molto su questi dati. L’autore, che peraltro è favorevole alla raccolta differenziata, conclude allarmato sulla grande incertezza del mercato delle materie da riciclo, nel quale i benefici ambientali ottenibili possono essere vanificati dall’andamento incerto dei costi e della qualità dei prodotti con conseguente crisi di tutto il sistema. Cosa fare quindi? Intanto cominciamo con il dire la verità acquisendo tutti i dati necessari anche rispetto a questa filiera e poi affrontiamo il problema della differenziazione per i reali benefici che può dare e non come mito per comode carriere politiche e professionali. Dobbiamo essere capaci di mettere in piedi un sistema di raccolta e smaltimento dei rifiuti semplice e capace di rispondere celermente a qualsiasi cambiamento. Non è impossibile, ma lo diventa se si pensa di sostituire l’impegno scientifico, quello serio, con il mito dei grandi impianti capaci di risolvere ogni problema, o con qualche slogan che poi svuota le tasche dei cittadini e riempie le strade di rifiuti.

mercoledì 11 giugno 2008

Rifiuti - Situazione più grave del previsto



Qualche giorno fa ho avuto occasione di scrivere che non era necessario che i consiglieri provinciali si preoccupassero più di tanto per la politica della Provincia nel campo dei rifiuti dal momento che, tra meno di un anno, ci saranno le elezioni. Mi accorgo, leggendo le cronache di questi giorni, di avere fatto un errore di valutazione e che il tempo a disposizione è veramente poco.
I segnali sono inequivocabili e sarebbe da stolti o da pazzi non tenerne conto. Li elenco.
Primo segnale:
“Il rincaro, direttamente in bolletta, sarà attorno al 16% e ci consentirà uno sforzo per raggiungere una quota di raccolta differenziata del 66%. La situazione è pesante ed è destinata a diventarlo ancora di più nei prossimi mesi. I prezzi di smaltimento del secco sono schizzati in alto a causa della situazione campana; le discariche in Italia si vanno esaurendo ed i siti sono sempre gli stessi quindi sono loro che fanno il prezzo. A questo dobbiamo poi aggiungere il costo del trasporto, perché è noto a tutti che la Marca (trevigiana) conferisce la frazione non riciclabile nel sud dell’Italia, dal Lazio alla Puglia. Per questo ritengo che sia venuto il momento di fare delle riflessioni anche in Veneto sulla necessità di essere autosufficienti. I prezzi li fanno i proprietari di impianti e chi non li ha deve subire”.
Queste affermazioni, apparse sulla stampa qualche giorno fa, sono di Riccardo Szumski, presidente di Savno, azienda che raccoglie rifiuti in 35 comuni del Coneglianese.
Balza agli occhi la contraddizione: si punta sulla differenziata sempre più spinta (del resto su quella hanno campato) dichiarando, al contempo, che diventerà sempre più cara e che servono impianti tecnologici di smaltimento. Non una parola sulla compatibilità tra le due scelte ed ammissione, neanche tanto implicita, che con la sola differenziata l’unica cosa sicura sarà la spesa sempre crescente. Contraddizione o meno, è evidente la preoccupazione con cui Szumski è costretto a chiedere nuovi soldi per lo smaltimento così come è evidente la sovrana indifferenza con cui la Provincia di Belluno – leggasi Reolon e Pison – ha accolto tale notizia: nessun commento. Gli ispiratori trevigiani della politica bellunese, tutta mirata alla sola raccolta differenziata spinta dei rifiuti, sono preoccupati? Sembra siano solo affari loro, ai nostri amministratori le preoccupazioni dei loro maestri non interessano e vanno avanti come niente fosse, senza discariche e mettendo in pericolo di sopravvivenza anche l’unico impianto esistente (il Maserot).
Secondo segnale:
Sempre qualche giorno fa, sulla stampa, l’assessore regionale all’Ambiente, Conta, denunciava con forza la piaga dello smaltimento illegale dei rifiuti, con ditte che appaiono dal nulla, raccolgono rifiuti (e soldi ovviamente) da riciclare, riempiono uno o più capannoni e poi spariscono lasciando i capannoni ed il loro contenuto sulle spalle (e le tasche) dei comuni dove sono ubicati.
Terzo segnale:
Il “Rapporto Ecomafia 2008” di Legambiente colloca il Veneto al secondo posto per “illegalità nel ciclo dei rifiuti”. Secondo Vittorio Cogliati Dezza, presidente nazionale di Legambiente, dal Veneto, non solo si esportano illegalmente rifiuti, ma lo si fa anche nel proprio territorio seppellendoli in discariche abusive o cambiando i codici relativi agli scarti, che così da nocivi diventano non pericolosi e invece di essere distrutti vengono utilizzati per realizzare sottofondi stradali. A riprova di tale affermazione viene citato il sequestro di un tratto della statale del Santo e di 5 chilometri della linea Alta Velocità tra Padova e Venezia nonché di un ponte sulla Transpolesana.
Quarto segnale:
I responsabili del Centro di Riciclaggio di Vedelago, vicino a Castelfranco Veneto, stanno inondando Internet (anche grazie ai siti collegati a Beppe Grillo) con la pubblicità relativa alla loro capacità tecnologica di riciclare quasi il 100% dei rifiuti loro conferiti attraverso le raccolte differenziate (conferiscono anche alcuni comuni della provincia di Belluno). Fanno cose abbastanza semplici, dividono i rifiuti che arrivano, triturano, avviano alcune componenti al recupero (forse), altre all’incenerimento o ad un blando trattamento di estrusione e poi, miracolo, trasformano la parte peggiore del rifiuto, gli scarti di plastica ed altro più difficili da trattare (e da smaltire) in “sabbia sintetica” per calcestruzzi, malte o cementi, il tutto con tanto di certificati UNI ed attestati universitari. La trasformazione di plastica in sabbia non è contemplata tra le possibilità tecnologiche e quindi va giustamente rubricata sotto la voce “miracolo”. Perché hanno deciso di chiamare sabbia quella poltiglia di plastica ed altro? Probabilmente per invogliare gli utilizzatori o per evitare il rischio, chiamandola magari “biscotto”, che finisca in qualche negozio alimentare. Meno miracolosa ma ugualmente sorprendente è la dichiarazione che un prodotto forzatamente disomogeneo e sempre differente tra una partita e l’altra sia certificato UNI. In letteratura ci sono vari esempi di rifiuti utilizzati per sottofondi stradali od altro; per alcuni i risultati sono incoraggianti, ma tutti, almeno dove le cose sono fatte come si deve, sono sottoposti ad un rigido controllo. Hanno tutti il carattere di sperimentazione, si sa esattamente dove vengono eseguiti i lavori e la loro durata e in tutti gli studi si sottolinea che andranno verificati i comportamenti dei manufatti interessati dai rifiuti nel lungo periodo e che fino a quando non ci saranno risposte esaustive l’utilizzo di tali rifiuti nel settore costruzioni od affini non potrà avvenire liberamente. A Vedelago, in quattro e quattr’otto, hanno risolto ogni problema. Sarà ma ho più di qualche dubbio.
I quattro episodi citati (ma si potrebbe continuare a lungo) riguardano, soprattutto, la pianura veneta ma servono a capire il guaio nel quale si è cacciata la provincia di Belluno. La linea dell’attuale amministrazione provinciale è semplicissima: raccolta differenziata spinta, nessuna nuova discarica (tutt’al più ampliamento di quelle esistenti) e rifiuti che partono per destinazioni fuori provincia, siano esse il riciclo o l’incenerimento. Gli ispiratori di questa linea, almeno a sentire i responsabili provinciali, sono stati, in questi anni, i vari consorzi di raccolta (a cominciare da quello della Priula) che operano nel trevigiano. Gli episodi citati mostrano le crepe ed i gravi rischi di tale strategia: i costi minacciano di andare fuori controllo senza valide soluzioni alternative nel territorio mentre le varie forme di riciclaggio proposte assomigliano più ad una forma di “smaltimento creativo” che ad un consolidato assetto tecnologico. Il fatto grave è che, mentre nel trevigiano qualcuno comincia a rendersi conto della realtà, da noi ci si vanta di volere fare ancora meno (loro qualche impianto di lavorazione intermedio lo hanno mentre noi stiamo condannando al fallimento l’unico operativo in provincia). Noi bellunesi siamo sempre lì a parlare di autonomia, quanto ci costa non averla e cosa bisogna fare per ottenerla. Tutte cose sacrosante, ma a cosa serve l’autonomia se poi non siamo neanche capaci di smaltire i nostri rifiuti senza gli impianti di altri? La mia speranza è che la situazione che ho illustrato convinca i cittadini, i sindaci ed i consiglieri provinciali ad affrontare con determinazione questo problema nella certezza che, altrimenti, fra un anno il risveglio sarà molto più amaro.